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Tutto in quarantasei giorni 25 luglio 8 settembre 1943

L'Autore, “testimone protagonista, ... con spirito vigile, e assieme con una forte ragione civile e sociale, ha visto e continua a vedere un mondo che si è trasformato in maniera totale e a tratti parossistica, lasciandosi prima circuire e sviare dalla dittatura, insanguinare dalla guerra, risorgere per forza di fede, passione civile e volontà di fare, modificare i propri connotati socio-economici ed assumerne altri mutevoli nel tempo, e tali da ripiombare nella barbarie di nuove guerre, distanziarsi e dislocarsi in dimensione sempre più “globale”.
Tutto questo, Loffreda l’ha visto accadere sotto gli occhi, dall’osservatorio privilegiato... . dalla fermezza dei propri ideali, cristiani e laici, dalle sue convinzioni (sulle quali, o su alcune delle quali non mette conto qui di esprimere discorde parere), ma ancora, e più significativamente, dall’ angolo visuale incardinato fortemente nella dimensione locale (l’Alifano, e vari comuni del comprensorio da Piedirnonte a Gioia Sannitica, da San Gregorio a San Potito). Anzi, a detta dell’Autore, il suo è un contributo di memoria personale, che sollecita quello di altri, affinché “continui il racconto di storia di un sessantennio, nelle luci e nelle ombre, sine amore et studio, come ho tentato di leggerlo, aggiungendo e precisando, poi, che esso in buona sostanza “vuol essere solamente un contributo alla storia locale, che va scritto oggi, non domani, quando verranno meno gli ultimi testimoni di fatti e persone.”... mosso dall’idea di “servizio” che è come obbligatorio rendere agli altri, ai cittadini, agli storici, lasciando loro “testi e articoli di storia locale... Vorrei rilevare come il “fuoco”principale della sua ricognizione intrisa di autobiografismo, concerne i 46 giorni tra il 25 luglio e l’8 settembre del cruciale 1943. E’ come il lampo, istantaneo e insieme lungo, in cui si condensa l’esperienza di una vita, è il segmento, folgorante che segna l’esistenza di un singolo, come quello di un’intera comunità...
Questa parte è bene impressa nella memoria di Loffreda, e perciò con dovizia riversata nel suo “racconto” con largo spazio per i principali animatori di quella indimenticabile stagione, come Giovanni Caso, in particolare, o i Cappello, o, ma sott'altro piano, il Don Zeno di Nomadelfia e alcuni parroci generosamente”prestati” alla politica in un momento così delicato per la vita locale e per quella nazionale.”


Guido D’Agostino

Loffredo Editore, Napoli, 2006



La Chiesa di S. Gregorio Magno sul Matese

Dirò chi questo nome prima diede

poi procederò, alla sua significanza.

Dante, Convivio III, XI, 2

 

La chiesa al titolo di S. Gregorio Magno, al Piano del Matese, alla località, con nuovo toponimo, Fontana a le Tre Cannelle, dà chiaramente la dimensione del tempo presente per le opere sociali che la completano, le quali ha voluto realizzare il parroco arciprete don Marcello Caravella, e del tempo passato, per la memoria storica che rievoca, nella dedica allo stesso Papa, la chiesa fine secolo VII, già posta in vista panoramica con la badia accanto e le case per la montagna acclive consacrate insieme con lo stesso santo nome.

La storia della chiesa e del suo abbandono, con cenni dei monaci Benedettini che la costruirono, seguiti dai Cistercensi, i quali, nel XIII sec., oltre le grange, costruirono altra chiesa al centro del paese per stare accanto ai pastori e al popolo minuto di quei tempi, la narro in ... et ecclesia Sancti Gregorii in Matese’ con l’altra ancora più antica della lapide dei primi cristiani del 553 d.C. e dei più antichi abitatori Sanniti Pentri, che a Santa Croce seppellirono i loro morti dopo gli scontri e le lotte con i Romani, nella lunga tenace lotta di predominio. La necropoli, sec. III a.C., venne alla luce negli anni 1920, testimonianza di civiltà del sacro degli abitanti antichissimi del vicus stanziato a Montorfano, località Castelluccio, individuato nel 2002.

La chiesa nuova io la penso e vedo erede dell’idea che ebbe e realizzò quell’abate del monachesimo benedettino, oltre dodici secoli fa. Quella che non èpiù esistente - sepolta è la cripta, anch’ essa manomessa-, mentre la coeva badia sì (nel Milleottocento detta le stalle -oltre la metà del secolo successivo adattata ad hotel-, riconoscibile nella struttura, costruite nella seconda metà del 700 d.C., dai Benedettini di S.Vmcenzo al Volturno: l’una e l’altra erano, solo d’un palmo, separate dalla strada che non ha mutato sede.

Di esse, nel Chronicon Vulturnese, leggiamo due registrazioni: nella bolla di Pasquale LI, all’anno 819, e nel Commemoratorium dei beni di 5. Vincenzo al Voltumo, del monaco Sabbatino, nel mese di ottobre a. 881, dopo la distruzione di quella Abbazia da parte dei Saraceni di Saugdan re degli Ismaeliti.



Introduzione a La trilogia dei capperi

Domenico Loffreda, Introduzione a. Roberto Perrotti La trilogia dei capperi racconti, Lettere Italiane Guida. Napoli, 2006   
              Nella prima pagina de La trilogia dei capperi , che dà il titolo alla raccolta e ne è l’incipit, il lettore sente, subito, che la scrittura si fa ritmo e assapora parole che sanno di poesia. Come suggerisce il frutto della pianta solitaria che cresce tra sassi su muri sbrecciati, in terreni aridi e su muri di vecchi castelli aperti alle visite e ai pipistrelli...


Luigi Noviello vescovo

LUIGI NOVIELLO VESCOVO

 Un settennio nel Venerabile Seminario Alifano, complesso unico con il solare tempio mariano A.G.P., dal 1930 al 1937, dalla quarta elementare all’esame di stato’ di ammissione al liceo, con Lui, Mons. Vescovo Luigi, nuovo presule della Diocesi, io, non più visibile d’un mallo di noce, così come mi vedo nella prima fotografia di gruppo, al termine del primo anno di studi. La fotografia è ripresa nel cortile alberato ad aranci e mandarini con la fontana a zampillo. Il Vescovo è in atteggiamento tutto compreso del suo ruolo, tutt’intorno i parroci delle due parrocchie, i professori, i seminaristi, tanti per quei tempi, nei quali anche stare al Seminario è peso familiare gravoso.
I primi ricordi e i segni di quegli anni, fondamentale della mia formazione culturale e del mio comportamento nella vita e nella professione, mi hanno accompagnato per tutta la vita, in positivo e in negativo. Essi mi spinsero a fare la faccia tosta, come si suol dire, di chiedere ai promotori del convegno, nel quale commemorare e perpetuare la personalità del Vescovo Luigi, di poter portare il mio personale omaggio a lui che subito conobbi e sentii nel carisma che sempre lo caratterizzò, carisma che, anche chi non lo ha conosciuto, ha udito sintetizzare nell’espressione a Lui convenientissima:- Sì, il Vescovo Buono.Sette anni sono stato ad ammirarlo, a sentirlo affettuosamente paterno. Godo di essere scelto, quasi sempre, forse perché un po’ più ordinato, ad essergli parte servente dei riti pontificali, alla cattedrale ad Alife o nelle chiese cittadine. di messe per le altre e di quelle di opere spirituali, come di tanto in tanto, per i reclusi nel carcere mandamentale. In tutte le occasioni, quella del Vescovo, sempre la solita compostezza umile, dignitosa e serena, sentita e vissuta, di rappresentare, in ogni occasione....

Edizioni ASMV, Piedimonte Matese, 2004



On. Beniamino Caso e Sen. Giovanni Caso â?? Vite parallele

D. Loffreda, On. Beniamino Caso e Sen. Giovanni Caso – Vite parallele, in Annuario 2003 dell’A.S.M-V-, Piedimonte Matese, 2004
                      L’On.Beniamino Caso, politico nel periodo pre e postunitario, il nipote Sen. Giovanni, docente universitario e politico pre e post I e II guerra mondiale.


Il Borgo si racconta

Vie e vite per il Matese

Da via Cimitero, via Tore, via Elci, via Fontana e dai vichi, quale un po’ prima quale un po’ dopo, che non è ancora chiaro in cielo, una donna dopo l’altra, molte, per via S. Croce, dietro l’asino, che non ha bisogno di essere tirato per la cavezza, e di esse, una, Violanta, con sul basto il figlio più grandetto, Francesco, ancora assonnato, e Maria, la più piccola, in braccio; l’altro figlio, Pietro, è restato col padre Giuseppe alla casella delle Cupelle. Essa ha avuto poco di tempo per scostare la cenere dalla bracia che la covava e riaccendere il fuoco con i tizzoni, pochi, già pronti, pure essi, come la bracia con la quale se ne erano stati senza consumarsi, ma accesi alla punta, mentre la casa dormiva. A quell’ora, già la colazione, con quel che della cena, secondo l’uso, la padrona ne aveva apposta preparata in più, la sera precedente. Nella vesaccia , il pane fresco di forno lavorato dall’ alba al tramonto del giorno prima, la sugna con la salciccia che vi aveva conservata, un bel pezzo di lardo tagliato da quello appeso alla pertica, a gennaio, l’olio e l’aceto e altro che, previdente, pensa che sia proprio indispensabile. Non c’è da scialare. Figli e vesaccia, e poi, alla stalla a prendere l’asino per caricano. Solamente per le feste, maccheroni, tagliatelle, tagliolini o gnocchi con carne del macellaio.

Loffredo Editore, Napoli, 2003



Sannio Pentro Alifano volume II

T. Livio, in Ab Urbe Condita, chiama Tifernus mons tutta la montagna che dal IX sec. d.C. chiamiamo Matese, e, con lo stesso nome, le città che vi sorgevano, una sul fiume, Bifemo, l’altra sul monte, scomparse e di difficile, se non improbabile, individuazione: possibile opinione ragionata, come alcune già note. Con Tijfernus si indica, nella storia, anche il fiume, oggi Biferno. Ma, prima, qualche varia notizia sul Massiccio.Alla ricerca di uno studio glottologico sul toponimo Matese, lessi quello studiato da G. Alessi e M. De Giovanni. Precedentemente essi si soffermano su "Tifernus fl. oggi Biferno, in territorio frentano," fiume che nasce dal Massiccio, e aggiungono che esso "è in rapporto con Tifernum, città del Sannio ", riportano gli altri toponimi identici esistenti in altre regioni, ed altri ancora con lo stesso relitto lessicale ti, attinente con "acqua", come in Tiffre, torrente di Bitonto, semanticamente distinto dall’oronimico Tifata, monti presso Capua, ma anch’essi già ricchi d'acque.

Loffredo Editore, Napoli, 2003



Sannio Pentro Alifano

TESTA DI VENERE

REPERTO

DALLA NECROPOLI DI S. GREGORIO MATESE

 Anche così ridotto, il reperto si fa ammirare per la classicità della forma e della struttura, e per la sua unicità tra gli oggetti museali in area alifana. Vi sono, in quella raccolta alifana, altre teste femminili che attraggono per i caratteri che le distinguono, più vicine idealmente, forse, ai prototipi femminili sanniti che le hanno ispirate, qualcuna riprodotta nel Quaderno di Nassa, pure esse presso il Museo Archeologico di Napoli, dove si conservano. È auspicio che tutti ritrovino, quanto prima, sistemazione idonea e, soprattutto, sicura, nella sede originaria di Piedimonte Matese o nel nuovo museo ad Alife.

Loffredo Editore, Napoli, 2001 



Il ceto politico dellâ??area alifana allâ??indomani della liberazione

D. Loffreda, Il ceto politico dell’area alifana all’indomani della liberazione, in Annuario  dell’A.S.M.V. ,  Piedimonte Matese, 2003


San Potito nella storia e nella quotidianitĂ  - Appunti per una monografia

S. POTITO NELLA STORIA E NELLA QUOTIDIANITÀ

APPUNTI PER UNA MONOGRAFIA

Le vestigia che a 5. Potito restano delle Terme di Ercole, antiche, notevoli ed uniche che si conoscano nell’agro alifano e nelle terre limitrofe, qualificano, con gli altri resti, la natura della contrada. Le antiche gentes o familiae e le recenti da sempre, hanno svolto in quel vicus una prevalente funzione civile ed economica, anche e soprattutto rispetto a quella militare preminente e più riconoscibile dai resti negli altri luoghi abitati distribuiti nella zona pedemontana del Massiccio, prossimi alla Alifae preromana e romana, ed in quelli montani, quali sono, tra gli altri, Castello e S. Gregorio.



Riassunto Storico dellâ??Antico Sannio di Giuseppe Mennone nella bibliografia dellâ??antica Alife in Samnium

D. Loffreda, Riassunto Storico dell’Antico Sannio di Giuseppe Mennone nella bibliografia dell’antica Alife in Samnium, gennaio-settembre 1999, n°1-3, Benevento,1999


Abbatia Sanctae Mariae de Ferrara in Agro Vairano - Notarii Francisci Antonii De Pernutiis Platea 1622-23

I Cistercensi — 1098 -1998 — IX centenario

e L’Abbazia di S. Maria de Ferrara

 

Il nono centenario della fondazione dell’Ordine Cistercense, 1098 - 1998, l’ho sentito, per me, quale altra motivazione a ricordare la presenza, spirituale ed operativa, predominante nelle contrade pedemontane e montane del Matese, con altri insediamenti, nelle terre del medio Volturno ed in altre ancora di Terra di Lavoro e del Molise fino in Puglia. Nell’Alifano, i Benedettini di S. Vincenzo al Volturno, prima, vi avevano distribuito celle ecclesiae e monasteri, dalla fine dell’VIII a quasi tutto il IX secolo, quali:

monasterium (puellarum) domini Salvatoris in Aliphas (totalmente scomparsa) e ecclesia Sancti Gregorii in Matese’ (ne è interrata la cripta).

Seguirono alla fine del sec. XII quelli di 5. Maria de Ferrara, presso Vairano, che vi posero le loro grange: tra le prime, quella di S. Angelo Vecchio (S. Angelo de Rave Canina), nel 11892. È una continuità di presenza di oltre cinque secoli, che si interrompe con i decreti di G. Bonaparte, del 6 giugno 1807, e di G. Murat, del 3 dicembre 1808, anche quanto a esistenza di...

 Nomi delle Terre (paesi e città) nella IV di copertina

VAIRANO, PETRA, S. ANGELO RAVIS CANINA, VENAFRO, SESTO E ROCCA PIPIROZZI, ALIFI, TRAUNI E MAIRANO, CAPUA E CASALI, BENEVENTO, PETRA PULCINA, TERRA LOGIA, MONTE CALVI, CERRITO E VITULANO, FAICCHIA, GUARDIA E CAMPOCHIARO, JOIA, TEANO E CASALI, CONCA E GALLUCCIO, MIGNANO, S. PIETRO IN FINE, TORA, ROCCA MONFINO, MARSANI, CARINOLA, SESSA E RIARDO, PIETRA MOLLARA, TERRA FRANCOLISE, BAIA, PRESENZANO, AMERUSI, CAIAZA, LIMATOLA, TRAETTO, PRATA VALLE E PRATELLA, TINO E GALLO, SERNIA, TORCINO, CIORLANO, MASTRATI, AILANO, PIEDIMONTE E CASALE DI S. POTITO, S. GREGORIO DI MONTE PEDIRCULI E S. MARIA DELL’INCORONATA (FOGGIA).

Loffredo Editore, Napoli, 1999



RESTI A CASTELLO DEL MATESE DELLA DIPENDENZA DELLA GRANGIA CISTERCENSE A SAN GREGORIO, ALLA VALLE DEL TORA

Resti, a Castello del Matese, della dipendenza

della grangia cistercense

a San Gregorio, alla Valle del Tora.

 I resti della grangia cistercense alla valle del Tora, luogo selvaggio e selvoso, nemorosus, nel comune di 5. Gregorio Matese, li puoi vedere distendersi per il colle spianato, nell’originale disegno, congiunti alla straordinaria muraglia, spessore m. 2,60, che, meravigliato, guardi. Essa degrada da quota 620 circa a 400, per ripido pendio, lungo il fianco orientale del monte, pressoché inaccessibile quello occidentale, fino a Valle Orsara nel territorio di Castello Del Matese, dove una elegante torretta interrompe il lungo tratto murario su punto roccioso, che sovrasta la Strada Comunale Arito. Da dove, un visitatore destro ed esperto, percorrendo uno stretto non lungo sentiero, che si inerpica e si arrotola su se stesso, raggiunta la base quadrangolare della torre, può ripercorrere verso l’alto la Via delle Mura, fino ad altra torre diroccata ed alla grangia.A Valle Orsara, di tanto in tanto, mi ci piace andare e sostare, solitario, ad ammirare quei luoghi, di non facile accesso e fortificati, a ripensare la storia di sofferenza per la salvezza della vita dei frati e dei contadini con le famiglie, e la obbligata solidarietà. E quei luoghi sono così presso la valle lunga cupa sprofondata tra erte pareti di roccia nuda che sembrano siano là a minaccia di morte, sul punto di seppellirti, ma dalle quali precipita, per ora, solamente qualche masso reso instabile dal gelo invernale, senza danno.

ASMV, Piedimonte Matese, 1997



Archipresbyterialis Ecclesia S. Mariae Gratiarum S. Gregorii

Prima dell’Archivio

 La Necropoli sannitica a monte S. Croce (326 - 305 a. C.); l’epigrafe cristiana (a. D. 553); l’Ecclesia abbaziale benedettina (a. D. 818); le grangie cistercensi alla valle del Tora e a Matese (a. D. 1226); la Cappella di S. Michele (la parte residua è celata, o protetta?, dall’abside della chiesa Madre S. Maria delle Grazie), secolo XIV o XV; la presenza dei Cistercensi, secolo XIII; la chiesa Madre (a. D. 1596); la cappella di S. Croce, sul monte omonimo, (a. D. 1709); la Cappella al S. S. Nome di Maria (a. D. 1760), e, ultima nata, la chiesa alla Circonvallazione (a. D. 1976), sono le pietre miliari e più significative della vita del paese montano che si riconobbe, e si riconosce, comunità nel nome del grande papa Gregorio I.

Edizioni ASMV Piedimonte Matese, 1996



... et ecclesia Sancti Gregorii in Matese

La sede del paese e la tradizione

 Ci si sta bene, al mio paese, nella piazza Beniamino Caso. Ci si siede nel salotto preparato per gli avventori e gli ospiti abitudinari, che sopraggiungono alla spicciolata. Se è il quarto atteso, le carte sono là pronte ad essere smazzate per il tressette. Altrimenti la conversazione non langue. Piace parlare, sparlare e sottilizzare. Sembra che si sia al mondo per conversare e, all’occasione, discutere animatamente. Ne gode l’uomo del mio paese, non la donna che non vuole nè sa perdere tempo.

La sera estiva è rinfrescata dall’alito carezzevole, effuso dalle cime svettanti, che dolcemente ondeggiano, del fitto bosco della villa dirimpetto. Il circolo cicaleccia e gode della frescura. Al tavolo, un po’ discosto, le gambe bene stese e le dita delle mani incrociate sulla rotondità abbondante e debordante del ventre, il doppio mento ciccioso poggiato sul petto, l’aspetto beato e sereno, sazio del capace bicchiere d’acqua della fontana (non ancora clorizzata), acqua sorseggiata con voluttà, siede il mio pipino’ Mons. don Lucio Ferritto con accanto il segretario al Comune Teodoro Mezzullo, inquieto sempre, e Antonio Caso, applicato, qualche altro ancora e me.

Il discorso sulla parlata è d’obbligo insieme con quello sull’origine e sul nome del paese. Si parla di questo e di quello, senza particolare interesse, quand’eccoti da don Lucio la "voce". La quale deve continuare a essere trasmessa, vera o veridica che sia. Essa era vissuta fino ad allora nella tradizione orale, ora resti scritta a memoria più duratura (spero). -

Le povere case di materiali poveri sono, ora, ancorate al declivio roccioso del monte S.Croce che sovrasta. Le finestre, qualche balcone e il limitare acclivo s’aprono all’orizzonte lontano, orlato di cime tondeggianti, al di là dell’ampia piana del Volturno. Nel giorno più sereno, anche il...

 

Loffredo Editore, Napoli, 1994



Federico Lupoli Una testimonianza in Federico Luppoli sindaco di Piedimonte Matese

D. Loffreda, Federico Lupoli  Una testimonianza in Federico Luppoli sindaco di Piedimonte Matese, p. 39 ss. Tipografia Turris Torre del Greco, 1882



La via allâ??arte...

D. Loffreda, La via all’arte… Presentazione -pp.XVIII- a Francesco Bello Buona notte allegria, Tipografia Pigna, Guardia Sanframondi, 1981


Presentazione ad Annuario 1973

D. Loffreda, Presentazione ad Annuario 1973, numero unico della Scuola Media Statale “Alessandro Manzoni” di Amorosi (Benevento), della quale l’autore è preside, nella ricorrenza del I centenario della morte dello scrittore e poeta.


Psicologia e didattica dellâ??Educazione artistica e Ricordo un maestro Giacomo Vitale

D. Loffreda, Psicologia e didattica dell’Educazione artistica e Ricordo un maestro  Giacomo Vitale, Tipografia Moderna Rossi, Piedimonte Matese, 1972



Luigi Ciccarelli poeta popolare del Matese

D. Loffreda, Luigi Ciccarelli   poeta popolare del Matese, in Annuario dell’Associazione Storica del Sannio Alifano (ASSA), Piedimonte d’Alife, 1971
                        Il poeta del borgo San Gregorio Matese, l’autodidatta che ha ispirazione, dà voce ai suoi luoghi e alla sua gente con componimenti in gergo e in lingua; non mancano drammi per le rappresentazioni teatrali in occasione delle festività estive,meno ancora  il faceto.


Lâ??Osservatorio meteorologico sul Monte Muto di Piedimonte dâ??Alife

D. Loffreda  Giacomo Petrucci, L’Osservatorio meteorologico sul Monte Muto di Piedimonte d’Alife, in Annuario 1968, dell’Associazione Storica del Sannio Alifano (ASSA)
 Capua, 1968
                … “Il 1875 nacque la specola che fu la prima dell’Appennino Meridionale. Alla sua installazione avevano contribuito il Comune di Piedimonte d’Alife(ora Matese), la provincia di Caserta e Beniamino Caso” d’intesa con il barnabita scienziato P. Francesco Denza, Direttore della specola vaticana, autore di Armonie dei cieli, 1890.



Giornalismo pedemontano

D. Loffreda, Giornalismo pedemontano, in Annuario 1966 dell’Associazione Storica del Sannio Alifano (ASSA), Arti grafiche Riello, Napoli, 1966
                   …- Colpisce anche un fugace curioso la grande varietà di titoli della stampa locale, da    “ Il Matese”, del 1882” a il “ Corriere del Matese e del Medio Volturno”, del 1964….-


Giudo Gozzano Poeta

VITA INTIMA — AMORI SREGOLATI
AMORE PER LA VITA


Si spegneva, il 1907, la voce poetica del giovanissimo Sergio Corazzini, finito d’etisia, e quella di Guido Gozzano, nello stesso anno, con la pubblicazione della « Via del Rifugio » « veniva riecheggiata dall’un capo all’altro d’Italia, s’imponeva all’orecchio e all’immaginazione, di­ventava popolare » (Croce).
Il poeta contava 24 anni: era nato a Torino il 19-XII-1883. L’educazione della madre gli aveva impresso nel cuore e nella mente la propensione a pregiar sopra ogni altra cosa l’amore degli studi e della poesia.

Luigi Loffredo Editore, Napoli, 1965



Parole

D. Loffreda, Parole, Tipografia Moderna A. Grillo, Piedimonte d’Alife, 1964
                      Quattro discorsi: Per il 150° anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi;25 aprile 1945;  La Costituzione della repubblica Italiana; Per la festa della Bandiera.  



La giostra e il professore

D. Loffreda, La giostra e il professore, in Ludus, Periodico studentesco, 1949


Sergio Corazzini - poeta della malinconia

D. Loffreda, Sergio Corazzini - poeta della malinconia,
in Ludus, marzo 1949; numero di saggio, Litografia Torquato, Napoli, 1949



L'OCCUPAZIONE TEDESCA NELLA PROVINCIA DI BENEVENTO

L’OPERA DI ASSISTENZA AI PROFUGHI

E AGLI EVASI IN S. GREGORIO

(settembre-ottobre 1943)

Il 12 settembre incominciò l’afflusso di migliaia di soldati e di profughi che giungevano a S. Gregorio da ogni regione d’Italia.
Soldati che si calcolano a circa ventiquattromila, giungevano nudi, scalzi, affamati dal Nord-Italia, da regioni della Francia, dalla Iugoslavia e fin dalla Grecia. Profughi, giungevano dai campi di concentramento per civili, miracolosamente salvi dalle mani dei tedeschi. Profughi italiani, dai luoghi di combattimento, giungevano sfiniti dalla fame e dalla stanchezza, con vestiti fatti a brandelli e scarpe logore: mamme con bambini al collo, che chiedevano ristoro e latte e pane per i loro bimbi. Scene pietose si svolgevano sotto gli occhi della popolazione, che cercava alleviare, per quanto possibile, quelle infinite miserie prodotte dalla guerra. Furono circa settecento questi sventurati che in questo piccolo paese di milleduecento anime trovarono asilo e conforto. Non minore aiuto incontrarono ben quattrocento prigionieri di guerra inglesi e indiani, che evasi dai campi di concentramento cercarono asilo nel nostro paese. In tutto, gli assistiti sono stati ventiseimila.Fin dai primi giorni si organizzarono mense gratuite...

A. ZAZO , A Moreno Editore, 1944

Relazione in appendice di Domenico Loffreda



PSICOLOGIA E DIDATTICA DELL' EDUCAZIONE ARTISTICA E RICORDO DI UN MAESTRO:
GIACOMO VITALE

 

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